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Immagine del redattoreAndreas Perugini

Sbatti il mostro in prima pagina

VEN 17.9 h 18:00 con la presenza del giornalista Paolo Morando

Nell'ambito della rassegna NON PIU' UMANI

Regia di Marco Bellocchio. Un film con Gian Maria Volonté, Fabio Garriba, Carla Tatò, John Steiner, Laura Betti. Cast completo Genere Drammatico, - Italia, 1972, durata 93 minuti.







Il redattore capo Giancarlo Bizanti del quotidiano di destra "Il Giornale", dopo la notizia dell'uccisione di una studentessa che è stata anche violentata decide di utilizzarla a fini politici. Siamo nel 1972 ed è in corso la campagna elettorale in un clima acceso tra i cosiddetti 'opposti estremismi'. In accordo con la proprietà Bizanti individua in un giovane appartenente ai gruppi extraparlamentari il colpevole da 'sbattere in prima pagina'.

Un film non completamente riuscito che ha però ancora molto da dirci.


In un'intervista del 1992 Marco Bellocchio si esprimeva così: "Direi che il film più sbagliato è stato Sbatti il mostro in prima pagina. Un'operazione fatta per disperazione, per onnipotenza, un'operazione di semplificazione, di popolarizzazione, che è la cosa più sbagliata che un artista possa fare."


Sicuramente ci sono personaggi (vedi il giornalista che si oppone alla mistificazione) un po' didascalici ma il film resta un documento di quegli anni e non solo. Anche perché ci sono sequenze di carattere documentaristico molto significative. Come quella di apertura in cui, in un comizio davanti al Castello Sforzesco di Milano, un Ignazio La Russa con capelli lunghi invita ad essere al di sopra all' "ormai superato e in disuso e troppo a lungo sfruttato fascismo e antifascismo". Una riprova che l'odierno presidente del Senato è coerente con se stesso pensando oggi ciò che già diceva allora. Il film prende le mosse da questa scena a cui seguono gli scontri in piazza.


Va evitato però un possibile equivoco "Il Giornale" di cui Bizanti è caporedattore non ha e non può avere alcun riferimento con l'omonimo quotidiano che Indro Montanelli fonderà solo due anni dopo. La denuncia però è (forse troppo per Bellocchio) chiara: quelle che ancora non si chiamavano fake news venivano architettate con una meticolosità che si esaltava se a ricoprire nel film il ruolo da protagonista c'era un Gian Maria Volonté che lo aveva rifiutato sulla base di una precedente sceneggiatura e che ora, passata la stessa alla revisione di Bellocchio e di Goffredo Fofi, gli permetteva di lavorare sulle note di un mellifluo understatement che poteva nell'arco di una frase trasformarsi in gelida freddezza. Il Bartolomeo Vanzetti del film di Montaldo o il Lulù Massa di Elio Petri diveniva ora un credibilissimo servo dell'establishment. Come altrettanto calata nella parte di una donna dall'equilibrio instabile è Laura Betti. Lo stesso Bellocchio ha un cameo role

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